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inferno - canto xxvii 119

     ma però che giá mai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
66senza tema d’infamia ti rispondo.
     Io fui uom d’arme; e poi fui cordigliero,
credendomi, sí cinto, fare ammenda;
69e certo il creder mio veniva intero,
     se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!
che mi rimise ne le prime colpe;
72e come e quare, voglio che m’intenda.
     Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe
che la madre mi diè, l’opere mie
75non furon leonine, ma di volpe.
     Li accorgimenti e le coperte vie
io seppi tutte, e sí menai lor arte,
78ch’al fine de la terra il suono uscíe.
     Quando mi vidi giunto in quella parte
di mia etade ove ciascun dovrebbe
81calar le vele e raccoglier le sarte,
     ciò che pria mi piacea, allor m'increbbe,
e pentuto e confesso mi rendei,
84ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
     Lo principe de’ novi Farisei,
avendo guerra presso a Laterano,
87e non con Saracin né con Giudei,
     ché ciascun suo nimico era Cristiano,
e nessun era stato a vincer Acri
90né mercatante in terra di Soldano;
     né sommo officio né ordini sacri
guardò in sé, né in me quel capestro
93che solea fare i suoi cinti piú macri.
     Ma come Costantin chiese Silvestro,
d’entro Siratti, a guarir de la lebbre;
96cosí mi chiese questi per maestro
     a guarir de la sua superba febbre:
domandommi consiglio, e io tacetti,
99perché le sue parole parver ebbre.