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inferno - canto xxvi 115

     ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno, e con quella compagna
102picciola da la qual non fui diserto.
     L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,
105e l’altre che quel mare intorno bagna.
     Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta,
118dov’Ercule segnò li suoi riguardi
     acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
111da l’altra giá m’avea lasciata Setta.
    ‛ O frati, ’ dissi ‛ che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
114a questa tanto picciola vigilia
     de’ nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
117di retro al sol, del mondo senza gente.
     Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
120ma per seguir virtute e conoscenza ’.
     Li miei compagni fec’io sí aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
123che a pena poscia li avrei ritenuti;
     e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
126sempre acquistando dal lato mancino.
     Tutte le stelle giá de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
129che non surgea fuor del marin suolo.
     Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
132poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
     quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza; e parvemi alta tanto
135quanto veduta non avea alcuna.