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inferno - canto xxv 109

     come procede innanzi da l’ardore
per lo papiro suso un color bruno
66che non è nero ancora e ’l bianco more.
     Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno
gridava: «Oh me, Agnel, come ti muti!
69vedi che giá non se’ né due né uno».
     Giá eran li due capi un divenuti,
quando n’apparver due figure miste
72in una faccia, ov’eran due perduti.
     Fersi le braccia due di quattro liste;
le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso
75divenner membra che non fur mai viste.
     Ogni primaio aspetto ivi era casso:
due e nessun l’imagine perversa
78parea; e tal sen gío con lento passo.
     Come ’l ramarro sotto la gran fersa
dei dí canicular, cangiando siepe,
81folgore par se la via attraversa,
     sí pareva, venendo verso l’epe
de li altri due, un serpentello acceso,
84livido e nero come gran di pepe;
     e quella parte onde prima è preso
nostro alimento, a l’un di lor trafisse;
87poi cadde giuso innanzi lui disteso.
     Lo trafitto il mirò, ma nulla disse;
anzi, co’ piè fermati, sbadigliava
90pur come sonno o febbre l’assalisse.
     Elli ’l serpente, e quei lui riguardava;
l’un per la piaga, e l’altro per la bocca
93fummavan forte, e ’l fummo si scontrava.
     Taccia Lucano omai lá dove tocca
del misero Sabello e di Nassidio,
96e attenda a udir quel ch’or si scocca.
     Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio;
ché se quello in serpente e quella in fonte
99converte poetando, io non lo ’nvidio;