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108 la divina commedia

     Non va co’ suoi fratei per un cammino,
per lo furto che frodolente fece
30del grande armento ch’elli ebbe a vicino;
     onde cessar le sue opere biece
sotto la mazza d’Ercule, che forse
33liene diè cento, e non senti le diece».
     Mentre che sí parlava, ed el trascorse
e tre spiriti venner sotto noi,
36de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse,
     se non quando gridar: «Chi siete voi?»
per che nostra novella si ristette,
39e intendemmo pur ad essi poi.
     Io non li conoscea; ma ei seguette,
come suol seguitar per alcun caso,
42che l’un nomar un altro convenette,
     dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»
per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento,
45mi posi il dito su dal mento al naso.
     Se tu se’ or, lettore, a creder lento
ciò ch’io dirò, non sará maraviglia,
48ché io che ’l vidi, a pena il mi consento.
     Com’io tenea levate in lor le ciglia,
e un serpente con sei piè si lancia
51dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia.
     Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia,
e con li anterior le braccia prese;
54poi li addentò e l’una e l’altra guancia:
     li deretani a le cosce distese,
e miseli la coda tra ’mbedue,
57e dietro per le ren su la ritese.
     Ellera abbarbicata mai non fue
ad alber sí, come l’orribil fiera
60per l’altrui membra avviticchiò le sue.
     Poi s’appiccar, come di calda cera
fossero stati, e mischiar lor colore,
63né l’un né l’altro giá parea quel ch’era;