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104 la divina commedia

     Parlando andava per non parer fievole;
onde una voce uscí de l’altro fosso,
66a parole formar disconvenevole.
     Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso
fossi de l’arco giá che varca quivi:
69ma chi parlava ad ira parea mosso.
     Io era vòlto in giú, ma li occhi vivi
non poteano ire al fondo per lo scuro;
72per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi
     da l’altro cinghio, e dismontiam lo muro;
ché, com’i’ odo quinci e non intendo,
75cosí giú veggio e neente affiguro».
     «Altra risposta» disse «non ti rendo
se non lo far; ché la dimanda onesta
78si de’ seguir con l’opera tacendo».
     Noi discendemmo il ponte da la testa
dove s’aggiugne con l’ottava ripa,
81e poi mi fu la bolgia manifesta;
     e vidivi entro terribile stipa
di serpenti, e di sí diversa mena
84che la memoria il sangue ancor mi scipa.
     Piú non si vanti Libia con sua rena;
ché se chelidri, iaculi e faree
87produce, e cencri con anfisibena,
     né tante pestilenzie né sí ree
mostrò giá mai con tutta l’Etiopia
90né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
     Tra questa cruda e tristissima copia
correvan genti nude e spaventate,
93senza sperar pertugio o elitropia:
     con serpi le man dietro avean legate;
quelle ficcavan per le ren la coda
96e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
     Ed ecco a un, ch’era da nostra proda,
s’avventò un serpente che ’l trafisse
99lá dove ’l collo a le spalle s’annoda.