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inferno - canto i | 5 |
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me,» gridai a lui
66«qual che tu sii, od ombra od uomo certo!»
Risposemi: «Non uomo, uomo giá fui;
e li parenti miei furon lombardi,
69mantovani, per patria, ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto
72al tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne da Troia,
75poi che ’l superbo Ilión fu combusto.
Ma tu, perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
78ch’è principio e cagion di tutta gioia?»
«Or se’ tu quel Virgilio, e quella fonte
che spandi di parlar sí largo fiume?»
81rispos’io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami il lungo studio e ’l grande amore
84che m’ha fatto cercar lo tuo volume:
tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore;
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
87lo bello stilo che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
90ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».
«A te convien tenere altro viaggio»
rispose, poi che lagrimar mi vide,
93«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
96ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide;
e ha natura sí malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
99e dopo ’l pasto ha piú fame che pria.