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inferno - canto xxiii 99

     Di fuor dorate son, sí ch’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
66che Federigo le mettea di paglia.
     Oh in eterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
69con loro insieme, intenti al tristo pianto;
     ma per lo peso quella gente stanca
venía sí pian, che noi eravam novi
72di compagnia ad ogni mover d’anca.
     Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi
alcun ch’al fatto o al nome si conosca,
75e li occhi, sí andando, intorno movi».
     E un che ’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
78voi che correte sí per l’aura fosca!
     forse ch’avrai da me quel che tu chiedi».
Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta,
81e poi secondo il suo passo procedi».
     Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l’animo, col viso, d’esser meco;
84ma tardavali ’l carco e la via stretta.
     Quando fur giunti, assai con l’occhio bieco
mi rimiraron senza far parola;
87poi si volsero in sé, e dicean seco:
     «Costui par vivo a l’atto de la gola;
e s’e’ son morti, per qual privilegio
90vanno scoperti de la grave stola?»
     Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio
de l’ipocriti tristi se’ venuto,
93dir chi tu se’ non avere in dispregio».
     E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa,
96e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto.
     Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant’i’ veggio dolor giú per le guance?
99e che pena è in voi che sí sfavilla?»