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CANTO XXIII
Taciti, soli, senza compagnia
n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo,
3come’ frati minor vanno per via.
Vòlt’era in su la favola d’Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
6dov’el parlò de la rana e del topo;
ché piú non si pareggia ‛ mo ’ e ‛ issa ’
che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia
9principio e fine con la mente fissa.
E come l’un pensier de l’altro scoppia,
cosí nacque di quello un altro poi,
12che la prima paura mi fe’ doppia.
Io pensava cosí: «Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
15sí fatta, ch’assai credo che lor nòi.
Se l’ira sovra ’l mal voler fa gueffa,
ei ne verranno dietro piú crudeli
18che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa».
Giá mi sentía tutti arricciar li peli
de la paura, e stava in dietro intento,
21quand’io dissi: «Maestro, se non celi
te e me tostamente, i’ ho pavento
de’ Malebranche; noi li avem giá dietro:
24io l’imagino sí, che giá li sento».
E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro,
l’imagine di fuor tua non trarrei
27piú tosto a me, che quella d’entro impetro.