Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/100

94 la divina commedia

     Lo duca dunque: «Or di’, de li altri rii
conosci tu alcun che sia latino
66sotto la pece?» E quelli: «I’ mi partii,
     poco è, da un che fu di lá vicino;
cosí foss’io ancor con lui coperto,
69ch’i’ non temerei unghia né uncino!»
     E Libicocco «Troppo avem sofferto»
disse; e preseli ’l braccio col runciglio,
72sí che, stracciando, ne portò un lacerto.
     Draghignazzo anco i volle dar di piglio
giuso a le gambe; onde ’l decurio loro
75si volse intorno intorno con mal piglio.
     Quand’elli un poco rappaciati foro,
a lui, ch’ancor mirava sua ferita,
78domandò ’l duca mio senza dimoro:
     «Chi fu colui da cui mala partita
di’ che facesti per venire a proda?»
81Ed ei rispose: «Fu frate Gomita,
     quel di Gallura, vasel d’ogni froda,
ch’ebbe i nemici di suo donno in mano,
84e fe’ sí lor, che ciascun se ne loda.
     Danar si tolse, e lasciolli di piano,
sí com’e’ dice; e ne li altri offici anche
87barattier fu, non picciol ma sovrano.
     Usa con esso donno Michel Zanche
di Logodoro; e a dir di Sardigna
90le lingue lor non si sentono stanche.
     Oh me, vedete l’altro che digrigna:
i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello
93non s’apparecchi a grattarmi la tigna».
     E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello
che stralunava li occhi per fedire,
96disse: «Fatti ’n costá, malvagio uccello!»
     «Se voi volete vedere o udire»
ricominciò lo spaurato appresso
99«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;