poetico dei secoli più barbari, sono meglio formati e più belli che i versi non sono della Georgica e della Eneide. L’unire e il concatenare che fa la rima il poema volgare, ha in sè troppo di simmetria, degenera nella monotonia. Le figure dei quadri del poeta vengono, per dire così, ad avere quella uniformità negli atteggiamenti e nella disposizione, che avevano le figure dei maestri, i quali dipinsero appunto in quell tempo che fu meglio coltivata la rima. Essa non permette al parlare il suo libero corso, nè quello intralciamento d’uno in altro verso che produce nella poesia un così bello effetto, e si può bene rassomigliare a quello che dalle linee che s’incrocicchiano inseieme e dalle serpeggianti vien nella pittura prodotto. In tal modo avvisano non coloro che freddamente considerano le regole della versificazione, ma quelli che sanno far versi con calore di spirito. Il Chiabrera asserisce che allora solamente la nostra poesia eroica sarebbe giunta alla perfezion sua, ch’ella fosse trattata col verso sciolto che è il suo proprio. Nella medesima opinione, egli aggiugne, ch’era venuto il Tasso, dopo conosciutoi per prova gl’inconvenienti delle ottave e della rima: ed afferma in oltre come gli avea detto quel gran poeta, di volere scrivere un poema in versi sciolti, lo che nelle Sette Giornate egli mandò ad effetto dipoi1:
- ↑ Vedi la Vita del Chiabrera, p. 37, che va innanzi alle opere di quel poeta, ed. di Venezia 1730.
Vedi ancora Fasti consolari dell’Accademia fiorentina p. 255, e Tessier Eloges des hommes sçavants, Par. I, p. 36, à Utrecht 1697.