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394 | saggio |
cose ne possono essere giudici gl’indotti egualmente che i dotti; perchè nelle composizioni teatrali la imitazione del vero, se giusta o no, si fa agevolmente da ognuno sentire, non parlando quivi la poesia il linguaggio degli Dei, del quale non si ha che uno assai vago e confuso concetto, ma parlando il linguaggio degli uomini, del quale ognuno ha una giusta idea; e i sentimenti dovendo venire a seconda di ciò che dettano le passioni e gli affetti dell’animo.
Da tanti mali che siamo andati divisando, de’ quali è cagione la rima, pare che si dovesse pur conchiudere che di quel dilettoso contagio fosse da purgare in tutto la nostra poesia: al che fare ne dee aggiugnere animo anche la nostra lingua, la quale per la bellezza sua fa che i nostri versi, come abbiam detto, possano stare e sostenersi con dignità senza il puntello della rima. Ma si dovrà ella sbandire e proscrivere da ogni sorta di componimento? La
- . . . qu’il mourut,
- (Corn. dans les Horaces);
- . . . qu’il mourut,
- Et qu’un beau désespoir alors ne secourut.
on l’accompagne d’un autre vers foible qui le gâte. Par exemple je suis charmé quand je lis ces mots:
Fénelon, lettre à l’Acad. franç. art. 6.
Vedi ancora l’art. 7.