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386 saggio

tura al padre, al re, al creatore della nostra lingua.

Che se la rima non costringesse il poeta a servirsi delle voci e di espressioni improprie, a slungar di soverchio il sentimento, o cadere nol facesse in simili altre sconvenevolezze, troppo è difficile ch’essa non se ne renda in certo modo tiranna, per quello che si spetta alla retta collocazione delle parole: e da essa collocazione pur dipende in gran parte l’energia, o vogliam dire l’effetto della prosa ugualmente che della poesia. Quello che opera in grande la retta disposizione delle differenti parti del discorso, onde l’esordio ha da precedere a cagion d’esempio la narrazione, e così del resto, quel medesimo opera a un dipresso in ciascuna parte del discorso, anzi in ciascun periodo e in ciascun membretto, la retta collocazione delle parole, onde l’animo dell’uditore qua sia come preparato a quello ha da venire dipoi, là sia tenuto sospeso in altro luogo venga assecondato, e in altro sia come colpito, quando meno si aspetta, e mosso in un subito; e sì venga a ricevere ad ogni istante quella impressione che alla intenzione di chi parla meglio risponda. Ora egli è un grandissimo che, se la misura e l’armonia del verso non costringa il poeta a dispor le parole in quell’ordine che non è di tutti il più acconcio alla intenzione di chi parla e il più naturale; ed è quasi che impossibile che del tutto non lo sconvolga la necessità della rima aggiunta all’obbligazione del metro: talchè chiunque cerca veramente di