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Il Richelieu, per lo contrario, fondò l’Accademia francese in tempo che di buoni autori scarseggiava pur troppo la Francia. Ronsardo, che tanto avea fatto per la lingua e alla cui tomba sarebbono un giorno iti in pellegrinaggio, secondo che dicevasi, i devoti delle Muse per ottenerne il dono della poesia, era dimenticato nella medesima sua tomba coperta soltanto dai secchi fiori che vi aveano a piene mani gittato i suoi contemporanei. Gli scrittori che avessero allora un qualche grido erano Marot, il cui stile grazioso si rimaneva quasi un segno della protezione accordata da Francesco Primo alle lettere, Montagna, forse egualmente licenzioso nello scrivere che libero nel pensare, dominato in ogni cosa dalla calda sua immaginativa, Malherbe, regolatore della poesia, e Balzac, vivente a quei giorni, che avea preso a regolare la prosa francese; orator gonfio e pieno di vento, come Malherbe era poeta secco e vuoto di sugo. Quell’autore, da cui ha principio l’epoca letteraria della Francia, il gran Cornelio, non era ancor giunto al colmo della celebrità sua; incominciava solamente a quel tempo a far figura trasportando nel teatro francese le ingegnose invenzioni dello spagnuolo. Non era ancora venuto in scena Racine, che arricchì quel teatro delle spoglie dei Greci, scrittore elegante e purissimo, a cui erano così note ed agevoli le vie del cuore, non La Fontaine, che con tal naturale finezza seppe seppe nelle sue favole far parlare gli animali, non Pascal uomo eloquentissimo, i cui scritti da un secolo in qua non hanno