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alquanto i progressi. Caduta al tempo della reggenza di quella signora gran parte dell’autorità regia nelle loro mani, era pur naturale ch’essi desser l’orme alla corte, e avesse la voga tutto quello che ad essi apparteneva o da essi in qualche modo veniva. Se adunque non poterono introdurre la loro lingua in Francia, furono però da tanto, che della loro si venisse a tingere la francese.
Tal frase forestiera uscita di bocca a un ministro fu ripetuta dai cortigiani per gentilezza e divenne poco stante di moda. Lo stesso succedette di un’altra, e così via discorrendo. In somma la lingua francese si venne per tal modo a sformare. E fu in picciol tempo talmente pezzata e sparsa d’italicismi, che il famoso Arrigo Stefano non si poté tenere di non levarsi contro a quel morbo epidemico che, passate le Alpi, s’era diffuso nella patria sua; e credette debito di buon Francese l’opporsi egli solo con la penna a tutta la Toscana, e a un tanto e così universale disordine. Benché, come era pur naturale, egli venne d’indi a non molto a finir da se stesso insieme con l’autorità e signoria de’ forestieri, che aver non potea lunga vita.
Nel medesimo tempo apparì Ronsardo, riputato allora il principe de’ poeti, a cui furono in vita decretati quegli onori de’ quali godé Omero dopo morte. Costui cercò non solo di richiamar la lingua verso i princìpi suoi, depurandola da quello che vi s’era intruso di forestiero e che gli eruditi chiamavano barbarie; ma, considerando il basso stato in cui ella era, cercò ancora di accrescerla e d’innalzarla