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Primo andò vagando senza regole, senza precetti, senza autori di conto; né quasi ebbe altr’anima, dirò così, salvo che la necessità in cui sono tutti gli uomini di dover comunicare co’ segni delle parole i propri concetti tra loro. Francesco Primo, chiamato in Francia padre delle lettere, fece molti provvedimenti perché le maniere si formassero dei Francesi, e con esse la lingua. In sullo esempio de’ principi italiani, ch’erano a quei tempi specchio di pulitezza, prese a favorire gli scienziati, i poeti e gli artisti di ogni maniera, chiamò i prelati e le principali donne del regno ad abbellire la corte, avvisando che il consorzio di esse raddolcir dovesse la favella e le maniere di una nazione data tutta al mestiero dell’armi; e come principe savio non meno che amator delle lettere, statuì che i pubblici atti nella giurisprudenza, i quali sino a quel tempo s’erano distesi in latino, distendere si dovessero d’allora innanzi in francese. E così la lingua ricevendo aumento, salisse in maggior pregio, e fosse innanzi agli occhi del popolo di maggior dignità. Non andarono del tutto vani i disegni di quel culto e magnanimo re. Ingentilì di molto al tempo suo la nazione, ne fu coltivata la favella, e vi fiorirono tali scrittori, che per certa ingenuità e grazia di dire tengono tuttavia il campo, essendo anche al dì d’oggi nel genere loro riputati maestri.
E già la lingua era in via di giugnere alla perfezion sua, quando i molti Italiani che Caterina de’ Medici, nuora di Francesco Primo, ebbe di seguito in Francia, ne ritardarono