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Dialogo secondo. 81

trimenti, che fareste in un quadro, cioè dalla pieeiolczza degli oggetti che fon più lontani, da un po’ di con fu lione e sfumatezza che vi li (corse da una cena degradazione e battezza di tmtc ed infine della più efatta profpemva, quel gran feereto dalla felice arce dell’inganno la Pittura, che accompagna ed ajuta tutto ciò. Il moto coi, c la vira che anima da per tutto quello quadro, non vi pollo efpnmere quanto piacer, cagioni. Gli alberi fon realmente feoffi qua, e la dal vento, e l’ombre loro ne fecondano il moto, eh ardenti faltellano; cammina realmente il Pa~ flore; una Nave veleggia da un capo all’altro del quadro, e il Sole variamente fcherza full’onda roti a, e gorgolianre. La Natura fi ritrae ella lieifa al rovcfcio, e in miniatura.

Egli è un peccato, dille la Marchefa, che quella cocì bella pittura di mano di cosi eccellente Mastro venga al rovefeio; del che per altro io non intendo la ragione niente più, che la iraniera ond’ella fi formi. Supponiamo, rispos’io, i he fuor della finefìra in faccia alla lente vi folle una freccia polla orizontalmenre, cioè ni quel modo che è la foglia della fìneftra. La punta della freccia fia a mano delira, ed il pennoni a fin dira. Immaginatevi che l’eiUemiià delta puma mandi de’ raggi fopra la lente, che la rico pran tutta. Quelli vanno ad unidi di là dalla Lente me J ciana m un altro punto, ina nei pà dare, che fanno ai traverfo di eiTa, laddove’ prima erano a mano delira, come quelli, che venivano dalia puma della freccia, che supponiamo essere