Pagina:Algarotti - Il Newtonianismo per le dame, 1737.djvu/90

78 Dialogo Secondo.

a convessità maggiore. E quella didanza del foco, è ciò, che qualificali lente, dicendoli: quefta lente à tanti piedi di foco, quell’altra ne à tanti, non altrimenti che fi dice: quella machina pnò alzar l’acqua a tanta altezza, per qualificarne la potenza e Fattività. Io m’immagino, difle la Marchefa, che la ragione, per cui quel punto si chiama foco, è, perchè in elio bifogna porre la candela per accenderla, fìccome ho veduto fare al Sole con un di quelli vetri da uno, che s’impegnò di accendere una candela fenza fuoco. Egli poteva, nfpos’io, anco impegnarli di accenderla col ghiaccio, non che fenza fuoco; poiché una lente di ghiaccio per un pò di rempo, fa il medefimo effetto, che una lente di vetro; ilchè Dio fa quante impertinenze avna fatto dire a’Pueti in quel tempo, che diceano:

    Deb Celia all’ombra giace!
    Venga chi veder vuole
    Giacere all’ombra il Sole.

Ma la voftra ragione è buoniflìma. Queir incendio che fegue in quel punto, là dove la lente unisce i raggi prima paralleli, ed abbrucia, è la cagione appunto, perchè elio fi chiami foco. Tutti i raggi poi, che non fono paralleli tra loro, ma che partendofi da un punto vanno viepiù frodandoti l’uno dall’altro, e che fi chiamati divergenti, fi unifeono di là dalla lente in un altro punto, che è fempre più lontano del foco della lente medefiraa. Quindi si dice, che la lente