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Dialogo secondo. 61

tre cose in proporzione del noftro rifpWtiWj piade. dunque, che vo, no. vdu voi medelìma, e me cosi grandi, «me ©ve^go un di que’ Brobdingnagiam deh HvW, che voi concerete forfè per fama, ed io vegga «ai > e me così piccioli, come voi veder? un Lillipuziano, e tutto il reilo del Mondo in jjJ^ voi del mio *»b*a» |giano, ed 5 o del voto ^iliip^ìaoft^P^^nói potemmo vedere l’uno cogli occhj dell akro nel che io farei certamente un buon cambio, voi dhpiczzifte per la loro piccolezza l miei Colodi, ed io foiìì {paventato per la loro grandezza dai volili Pigmei. Potrebbe di leggieri U tteila iagione trasferirli a colori, del nome de quali, benché tra di noi tion difconvenghiamo, poi ham però difeonvenir del fatto. Tutti e due perdemmo chiamiamo 1, foghe di queftì alberi verdi, perchè da principio c’è flato detto il colore delle foglie efler verde, potendo efìere, che le voi vedefle,come veggo io, fofte maravigliata di vedere quefte foghe, e tutta quefta campagna d ua colore, che voi ehiamereite per avventura di ponx>ra, o che fo io. Perchè noi vediamo che gli uomini fi raiìomigliano appretto poco l uti l’altro nelle fattezze del corpo, avendo tutti due occhj, una bocca, un nafo, due gambe, e due mani, s’immaginiamo facilmente, che tutti debbano ancora raiìomigUartt nelle idee; e quindi a-vengono moki incomodi nella Società, che jiou avvrebbon forfè, fé gli uomini fo fiero un po più Filoiofi, che non fono. Quindi un Politi-