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52 Dialogo Secondo.

zione, e ci assicura che nostro è il delizioso, e non ancora definito sapore dell’Ananas, nostro è il grato verde d’un praticello, e nota è pure quella che ogni cosa ravviva, ed anima, l’alma luce del Sole.

Io v’intendo, ripigliò ella. Noi diventiamo ricchi alle specie altrui, e siamo come l’antica Roma, dove si portavano le spoglie di tutto l’Universo. Mal, rispos’io, per la Filosofia, se le sue ragioni non fecero migliori di quelle della Politica, e dell’ambizione. Io veggo bene che voi non ne avete ancora una giusta idea. Acciò veggiate ch’ella non si usurpa nulla, e che non si toglie che il suo, premetevi con un dito l’occhio da un canto, o dall’altro, e voi vedrete dalla parte opposta una fiammetta rotonda di color rossiccio. In quello caso non v’à certamente fuor dell’occhio nè colore, nè luce. Voi gli vedete però niente per altro, che per la pressione del vostro dito su’ nervi dell’occhio vostro. I globetti della luce che vengono dalla superficie de’ corpi, fanno più dilicatamente nell’occhio ciò che il vostro dito non fa, che grossolanamente. La diversa disposizione poi, e la differente figura delle parti di un corpo, è la causa della diversità dell’imperfezione che da’ globetti riceviamo. E in fatti che a quella sola disposizione, e figura delle parti in un corpo si debba attribuire l’eccitare, ch’esso fa in noi l’idea d’un colore, o d’un altro, non si vede egli manifestamente da ciò, che mutando questa disposizione si muta anco il colore? Il che non dovrebbe avvenire, se veramente il colore fosse nelle parti del corpo medesimo. Il


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