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50 Dialogo Secondo.

brerebbe in confronto una dichiarazione amorosa d’un Sovrano. Non vi par egli, che ciò basti a’ corpi, che in fine altro non sono che corpi? Senza che egli non è propriamente un distruggere ciò che fanno i Filosofi intorno alle qualità di cui parlavamo. Eglino non tolgono a’ corpi, che quello ch’era stato loro malamente applicato, e che avean lungo tempo a torto posseduto, e lo ridanno a noi, a’ quali direttamente, e di buona ragione compete, non valendo ormai più nella Filosofia, come faceva altra volta, la prescrizione. Se un’amante per esempio dicesse, che in un’occhiata che egli fu dietro al ventaglio lanciata, v’era la speranza; che mal farebbe mai un Filosofo, il quale senza distruggergli né l’occhiata, né la speranza, con carità l’avvertisse nell’occhiata altro non esservi stato, che un certo moto dell’occhio cagionato da certi muscoli, o da un principio di pietà, o di cocchetteria, se volessimo rimontar sino all’origine; ma la speranza essere affatto in lui destata in occasione di quell’occhiata? in quella guisa appunto, che quando noi siamo punti da un’ago il dolore è affatto in noi, e nell’ago altro non è, che un moto per cui egli distrae, e lacera le fibre del nostro corpo, in occasione della qual distrazione noi sentiamo il dolore. In somma i corpi altro non sono che materia, e per conseguente aver non ponno, che quelle proprietà che dalla materia dipendono, le quali i Cartesiani ânno limitato all’estensione, all’essere impenetrabili l’un dall’altro al muoversi, all’esser di quella, o di quell’altra figura, all’aver le loro parti disposte in


quel-