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48 Dialogo Secondo.

nità di pori, che ne interrompono la tessitura, che v’â delle squame le une sopra le altre a guisa della pelle d’un pesce, delle cavità, delle prominenze, delle valli, e de’ monti per un popolo di animaletti, che passa vivi forse la sua vita, de’ fiumi, e de’ mari; il che vi recherebbe ancora maggior maraviglia. In somma non ve le riconoscereste più, e sareste forzata di confessare, che’ellono sono ben differenti da quelle che sono state cantate da’ vostri Poeti. Egli è una grazia, disse la Marchesa, che la Natura ci â fatto nel darci grossolani sensi. Mal per noi, se avessimo il tatto così fino da poter sentire tutto ciò, che il Microscopio fa vedere. Noi saremmo, soggiuns’io, senza dubbio infelici, se nel toccare qualunque più morbida e liscia superficie, sensibili ad ogni cosa, il tatto ci abbandonasse a ciascun poro, e a qualunque piccola prominenza si facesse sgricciolare. Il silenzio della Ragione, e de’ raffinati sensi, ci permette di sentire il solletico della Voluttà, e ben la felicità nostra definì colui, che piacevolmente disse, esser lei la possession tranquilla del piacere di esser bene e dovutamente ingannati.

In verità, replicò la Marchesa, che noi altre siamo obbligate alla discrezione de’ Filosofi, che non ostante che sappiano come le superficie sono fatte, si diportan però verso di noi come il resto degli uomini. Ma se io volessi piacere a qualche ignorante, io gli proibirei per la prima cosa di tener qualunque corrispondenza con quelli che maneggian Microscopio. Costoro mi potrian fare del grande pregiudizio. Tutti i Microscopj, rispos’


io,