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Dialogo secondo. 47


mine alcuno dinanzi al severo Tribunale della Ragione. Tutti i potenti del Mondo, e tutte le Belle più potenti ancora, non ponno far interpretare a favor loro il menomo Testo, o corrompere in alcuna maniera il rigido Filosofico Areopago. Quella si è una prova, una mortificazione, che vi dà il Descartes nel vostro Noviziato della Filosofia. Ma che? Vi spaventerete voi per così poca cosa? Fatevi animo, non temete nulla. Voi congiungerete alla fine al piacer de’ Sensi anco quello di combatterli, e di non prestar loro fede.

Fin’ora, soggiunse la Marchesa, io non ho, che il dispiacer di vedere, che noi siamo ingannati ad ogni momento, poichè se così pur è, come voi dite, le cose ci appajono ben diverse da quel che realmente sono. I Corpi ci appajono d’un colore o d’un altro, e in loro altro non e che una certa disposizione di parti. Eglino ci sembrano d’un certo sapore, freddi, caldi, o che so io, e nessuna di quelle cose è in loro. Questa mi pare per dir vero una strana condizione. Certamente, rispos’io, che la nostra condizione e strana. Il nostro sapere poco va innanzi senza la scorta de’ Sensi. Eglino ci fan credere tutto giorno cose, di cui poi o un senso più affinato, o la ragione, senza per altro rischiararci, ci disinganna. Voi credete per esempio, che queste vostre mani, che saranno state argomento d’una infinità di Poemi, sieno liscie, e pulite, e voi andreste per avventura in colera chi contrastasse loro questa qualità. E pure se voi ve le guardaste col Microscopio, sareste sorpresa di vedere, che v’â in esse una infi-