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42 | Dialogo Primo. |
coli, me ne fosse passato la voglia. Ma grazie alla mia buona fortuna, che io son nata in un Paese, in cui se si vuol passeggiare, o discorrer di Filosofia, si passeggia, e si discorre senza incomodar perciò le Stelle, nè il Cielo. Ringraziate più tosto la vostra buona fortuna, rispos’io, d’esser nata in un Paese, in cui al rovescio dell’Oriente le Donne ânno i Serragli di Cicisbei.
Voi mi vorreste, diss’ella, con coteste vostre riflessioni far perder di vista i nostri colori, la varietà de’ quali ora assai più mi diletta per la poca fatica, ch’io duro a produrli. Ma que’ tanti colori, che appariscono quando si guarda attraverso un certo vetro, che io vidi l’anno scorso in una Villa appeso dirimpetto ad una finestra, come li produrremo noi? Vi sarà forse qualche altro moto per produrre que’ colori, che appariscono solamente negli oggetti, allorché si guardano attraverso un di que’ vetri. Voi li produrrete, rispos’io, nella medesima maniera appunto de’ primi. Non avete che a far girare que’ globetti di luce, che passano per quel vetro triangolare, che dicevate, e che si chiama Prisma, secondo le regole che già sapete, e secondo ch’esige la varietà de’ colori, ch’egli fa nascere. E quanto a quella vostra distinzione, che pare abbiate voluto accennare tra i colori, che sono ne’ corpi, e que’ che vi appariscon solamente, ella non vi sarà menata buona dal vostro Descartes, che vuole così come gli Atomisti, se ben vi ricorda, i colori tutti non esser in nessuna maniera ne’ corpi, ma apparirvi solamente. Così tra il rosso per