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Dialogo Primo. 39

tela, per intesser di giacinti, di anemoni e di violette il parterre di un giardino, per diversificare in fine a piacer mio la faccia della Natura? Anzi, soggiuns’io, se quest’accrescere, o sminuire vi dasse qualche pena, non avete che a supporre i globetti della luce privi affitto di qualsisia moto di rotazione, che daremo solamente loro nell’atto del variar la vostra tela o il vostro giardino: in somma nell’esser ribalzati da’ corpi, su cui cadono. Voi non avete che a scegliere ciò, che vi torna più comodo. L’uno e l’altro vi servirà egualmente. Egli pare che il Descartes abbia anche questo di comune co’ Medici, che una sola maniera di far succedere una cosa, non gli par molte volte bastante, ed è sempre indegna della sua feconda immaginazione. Io gli fo buon grado, disse la Marchesa, non ostante la malignità del vostro anche di questa sua abbondanza. Ella non gli mancherà certamente, cred’io, nello spiegar donde viene, che un corpo dia a’ globetti della luce un certo moto di rotazione, e un altro corpo ne dia un altro. V’â, soggiuns’io, di che scegliere anche in questo, o la diversità della figura delle particelle, onde le superficie de’ corpi son composte, o la loro diversa disposizione, l’esser diversamente inclinate le une verso le altre, l’esser più o meno liscie, e mille altre cose, che voi medesima potrete immaginare. In tal maniera non che stoffe o giardini, ma tutta la vaghezza di Paolo, o la morbidezza di Tiziano il facil vostro Filosofo vi compone; e cosi pure quel vostro incarna-