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Dialogo Sesto. 299

noi ignori, il variar delle Itagioni, l’avvicinarli del mattino, e fcnza aver letto nè Diofconde, oè altro Botanica quell’erba fai ut are fceleon fra mille, che la lor piaga rifarà, cosi in un altro Siftema nel Mondo forfè di Giove non v’abbian viventi, che de’ nolM Filosofi più perfpicaci veggano qual fia la figura, e la grandezza delle particelle, che i var] colori dipingono, e come fenza funi, e fenza uncini attrar poffan Saturno in una dilianza di più di trecento e cinquanta milioni di miglia. Ma incontraccambio fi eco me in quel Pianeta, dove non fon dtfolati dal furor della Guerra, non fenton poi le dolcezze dell’Amore, e vi fi nojano, talché ogni cofa e diverfifìcaro, e per via di giufH compenfi bilanciato trovafi, fecondo che ne dice il piacevole Storico di que’ Mondi; così là dove veggono che cofa i colori fono, non àn poi forfè fenfo per godere della più bella loro armonia fulle guancie delle lor Fillidi, le attrazioni dei Pianeti conofeono, noti forfè quelle dolci che a’ piaceri ci tirano, molto più apprezzabili di qualunque Speculazione.

Ma comecché fia di quella più vana forfè delle altre, a noi non giova di cercare, onde vie più de’ notiti difetti accorgerli, e di effcr cotanto ingegno!! nel tormentarci. Nè cognizioni, nè piaceri a noi mancheranno purché buon ufo di que* fenfi facciamo, che ci fono caduti in forte, e a voi non mancherà