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298 | Dialogo Sesto. |
{tran le o nervazioni e (Ter vero, fervir dovrebbe a’ più arditi di efempio di faggia imitazione. Qual’altro con più ragione di lui, che fu tic ali della Geometria librato volar poteva per immenfi fpazj alla nortra curiofuà fino allora impenetrabili, dovea crede- Ci in UUto di allahre vi Cielo, e di riportarne. vittoriofo il fecreto della Natura?
Quanto ftrana condizione, ripiglio ella, si e mai eoterta noltra! Noi lappiamo qual g™zza in una particella, che iunge fi fot trae dalla villa fianeceflaria per riflettere un certo colore; ma queiìo colore, che abbiam fempre dinnanzi agli occhi, che cofa è egli È Appena il poffiam noi indovinare per via di una debole conghiettura. In una cofa fumo lincei, nell’altra ciechi Ivi i noftri fenfi oltre quel che di fperare era lecito affinati fi fono; qui pare che ci abbandonino ad un tratto, e del tutto ci manchino.
Non an mancato, foggiuns’io allora» di quegli, che an creduto, che le tante difficolti, onde il poco della noftra Scienza e opprelfo, i tanti Siitemi, var] Emblema» dell ignoranza umana, e quefto continuo Tantaleggiar de’ Filofori incontro al Vero, da altro cagionati non fieno, che dalla mancanza itì noi di un fello naturai fenfo, che molto di quel che ci è afeofo ci belerebbe, e che sfugge per avventura quette cinque mani dateci dalla Natura per prendere gli oggetti ertemi, e recarli all’animo. Chi fa fe nella gu.fa che arinovi fra noi animali, che in virtù per avventura di lenii a