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294 | Dialogo Sesto. |
ik ila a forza diftenti/e de’ foverchi diligi del cammino.
Io vedo con piacere, dille la Marchefa, come
le proprietà della notlra luce ci conducano perfino a votare il Ci c lo, e dopo aver fai io muover la Terra, le di l’imbarazzi no anco la llrada. Le diffrazioni ancora, replicai io, che la luce (offrirebbe dalle pam df quella materia ce Ielle, fervirebbon non pùo ad rftinguerla, nella guifa che il debbon pur fare ne’ corpi, che fono molto poroli, ed eterogenei i Egli è mirabile, che fi trovi un luogo nelle note, fe ben mi fovviene, che I fatto il Ferrault:a Vitruvio, che moftra aver lui veduto quella verità in barlume. La rarefazione, die’ egli, cioè l’allomanamento delle partì, rende i corpi opachi, perchè rarefacendoh diventano eterogenei di omogenei, ch’erari pnm
Ben più mirabil mi fembra, disella, che trovato fiafi chi abbia chiaramente villo, e dimoflrato, che due così oppolte cofe, come la rifrazione, e la rifkflion fono, il che fìa Tempre una maraviglia per me, fi faccian tuttavia per la medefima caufa. Le facilità, foggiuns’io, e gli oftacoli, che trova la luce nel paflar da un mezzo in un altro, fono quali nel medelimo caio. Forfè un fottiliffimo fluido fparfo ne’ contini de mezzi, prontiffimo a vibrarfi, e in cui il lume percuotendolo, eccita modulazioni, e tremore, come un fallo nell’acqua, o la voce nel ’ aria, e cagione sì delle une, che degli altri; talché le la luce rrovaii nel cavo delle onde di quello fluido, ella