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284 | Dialogo Sesto. |
che ci anticipale, e prolungale il giorno ’. Un po’ di Luna ci avrebbe dì quando iti quando debolmente fgom braco quella lunga, e m’pét notte. Qual’Ottica, c quai colori avremmo noi mai avuto per fei meli continui, fenza la Cometa, ed il U10 urto? Poiché ogni cote, ripigliò ella, fta bene prefentemente, Dio ci guardi da ora innanzi, dall’avvicinamento di alcuna di elle, da* loro urti, dagl’incendi, e da* diluyj che ci minacciano, e da quella forza ripuliiva, che ce le rende così terribili e fpaventofe. Ma non fon* eglino quelli gli Enigmi, così come gli fpaventi della Fifìca, che i medefimi corpi debbano at> traerfi, e discacciaifi?
Io non fo, continuai io, dopo un po’ di paufa, fc io debba introdurvi più addentro nel Santuario del Nevvtoniantfmo. V’à in quella ’Filosofia mi Iteri più alti ancora, e più Sublimi di quelli, a’ quali (m’ora ficee Hata ammetta. Quello farebbe il luogo d’invocar quegli Spiriti figli primogeniti della luce, cuirodi di quelle fegrete verità, delle quali fecero già parte al noftro Filo foie, acciò mi foiTe lecito rivelarvi cofe lungi ripoile dalla villa de* mortali, e im merle altamente per loro in una caliginofa nebbia, e nella profondanone. Vi conviene oradcporre,e fpogliarvi anatro di quel poco, che vi potria ancora effèf reftato di profano. Diremi, o Madama, qua! forza vi fentite voi pei Vero ’< Tutta quella forza, rifpos’eìla, che fentc un bravo Soldato a feguire il fuo Capitano per tutto la dove il valor k> chiama, lo vi feguo arditamente per tutto ovun-