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Dialogo Sesto. 283

{e cagionato altre volte un diluvio, inno urtato forfe contro 1a Terra e fconvoltovi ogni cofa, e chi sà. che una volta o l’altra non vi cagionino anche un’incendio, ond’ella poi depofia l’antica {paglia qual ferpe ringiovanifca, e rinovelli, e qucfio noilro gran Teatro di Attori cangia: debba ces‘i come di Scena.

11 prelente,dìfs’ella, è tanto per {e flcffo vario, e piacevole, come fià ora, che 10 m’ingannerei di gran lunga, {e e“non può divertirci per buona pezza di tempo fenza cangiamento alcuno. Ma noi fiamo per avventura, ril’pos’io, obbligati loro del più bello, di cui giornalmente godiamo . Elleno fono {late forfe per lo nofiro Jearro, l‘ingegnofo Macchinìfla, che lo i rcfo girevole, come quel tanto famofo nell’antichità di Curione, in cui quel popolo Romano domator delMondo, {chiana di Eroi, e porzione degli Dei immortali cancella all’uman genere, fedcva pendente in una fragile macchina, e batteva le mani al {no flefio pericolo. Ora noi dobbiamo a qualche Cometa, lenza tema per altro di accidente alcuno, il girar di coreilo nolìto, la rorazìon della Terra, la perpetua e col‘tante {uC‘ ceflìonc dell‘ ombra alla. luce, la varietà infine del giorno, e della none. Forre, che alcuna di loro urtandoci altra volta, ci à dato quefio moro non meno, che agli altri Pianeti, che l’appiamo averlo. I\oi avevamo innanzi ad efi‘a {ci mrfi di giorno, ed altri {ci di notte, come i freddi abitatori ,(e vi fofier, del PoloJenza aver com’cflì, nè una forte rifrazione, nè un lungo crcpufculo,