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282 Dialogo Sesto.

novella , ed 0m ci conduce al difcacciamemo o alla ripulfione, i cui cfieiti non fono niente me- no cunfidcrabili in Natura, c maravigliofi . Non è ein quella forza che fa, che le moiche poiîan camminar full‘acqua lenza bagnaifi i piedi, e che le particelle ufcite fumi da’ corpi per via del ca- lore o della fermentazione fi allontanino talmenq te tra di elle, chc VEnganO ad occupare uno {pa- zio‘ infinitamente maggiore che non faccan pri- ma? L'aria dopo d’ellere Rara compreira , può efier dilatata. a fegno di occupare uno fpazio più che Ottocento venti {ci mila volte maggiore che compcefia non faceva; e ciò lenza refcaldarla , il che la dilatercbbe ben ancor di vantaggio l La. famofaComcta del mille feiccnib e ottanta due,‘ acciò veggiate che quella forza non (aggiorna anch'efla meno in Cielo che in Terra, andò così vicina al Sole che fu rifc'aldàtà due mila. volte più che non è il ferro rovente. l vapori da cfl‘a. alzatifi e lunga cacciati dalla forza ripulfiva gli. uni dagli altri, l’ornamnn d‘una. resi fpavcntoi‘a Coda, ch'ella imbarazzava in Cielo la lunghezza di Quanta milioni di miglia Inglcfi. Guai a noi {e fofiimo venuti a pafiatle vicino, é ad ciîcrlc inviluppati dentro. in luogo di penfare a guada- gnare un’ anello 0 una nuova Luna, noi faremmo fiati calcinati, e brugiatì come una. picciola pie- tra nel foce d'une {pccéhio Ufiorio. Da quello appunto alcuni:| cui i famaîmi dell’incerm avvc— nire non Iafciàn vctlcrc il fuggirivo preferite , alpenano un giorno 0 l‘altro la conflagrazione Univeri’alc di quefie Globo i Le Comete an for-