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276 | Dialogo Sesto. |
bili. Io credo, che dopo tante riprove voi mi pcnr’etteretc d’introdurla come in Trionfo anco nell’Ottica ad ifpiegar gli effetti, che dipendono dalla fcatnbievole attrazione, che è tra la luce, e i corpi. Manco male, difs’ella, Te io non permeitela* a’ corpi, ed alla luce di actraerfi fcambievolmente, io che ó veduto Saturno, e»1 Sole attraerfi. nelle loro enormi difhnze.
La rifrazione continuai io, per non parlar più della diffrazione, non ne farà ella altresì ua effetto? Non nafee ella da ciò, che i mezzi per li quali pafla la luce fon dotati di quella forza maggiore, o minore, fecondo la maggiore, o minore: dcnfità del mezzo? E quefta forza non farà ella maggiore della gravità? Altrimenti a cagione dell’immenfa forza della Terra che trae ogni cofa a fe, nè meno unprifma grande, come il Pico di Tenariffc, potrebbe rifrangere il più fottìi raggio di luce; Fino a tanto, Che la luce pafla per lo med efimo mezzo, effendo ella attirata egualmente da tutte le parti, non dee declinar da ninna, ma muoverfi innanzi fecondo la direzione, che ella à ricevuto dal Sole, o da altro corpo lutti inofo; fc nel cammino incontra un’altro mezzo, la cui forza fia maggiore, come per efempio ti vetro rifpetto all’aria, non dovrà ella declinare verfo quello, e immergervifi dentro, accoitandofi all’efìer perpendicolare più, o meno, fecondo che l’attrazione di lui farà mi nore, o maggiore* A» ufeir ch’ella fa dal vetro nell’aria, ellaè di nuovo attirata dall’aria, e dal vetro; ma perchè laforza dei vetroc maggiore della forza dell* aria, dovrà tener-