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274 | Dialogo Sesto. |
alterare i moti de’ Pianeti!, egli Io era in queftà occafione, in cui i due piir poffenti di tutto il Stilema folare fi avvicinavano fra loro in una diflanza però di più di trecento cinquanta milioni di miglia. Quefta era in grande, dirò cosi, un* ofTervazione così deeifiva pel Sii/rema Celeile Nevvtoniano,comeloera in picciolo l’efperimcnto del rifrangere i raggi colorati con un fecondo prifma per provare, fe il colore. folle una modificazione, o nò della Luce La curiofità adunque era grandiiGma, tanto più che il Sìftema Newtoniano non era allora, fi può dir, che nafeente, C che il tempo per cui la verità fi avvalora, e fvanifee l’errore, non avea poturo ancora appretto il Mondo decider nulla in favor fu o. Il turbamento,che Giove di tutti Pianeti il più vafto, cagionò ue l’moti di Saturno, e quello che vicendevolmente quefto Pianeta eccitò ne’ Satelliti di Giove, furono talmente confiderabili,che sfuggir non poterono l’oOervazione, e il teftimonio degli Aftronomi, anche i più male intenzionati, cui la di ve ruta d’opinione da una feorameiTa foltenuta doveva agevolmente far travvedere; e il Signor Newton ebbe la confolazione di ltrappar dalla bocca, fi può dir, de’ fuoi nemici Iteffi una così forte, e folenne conferma del fuo Siitema. Che cofa fono i Trionfi di quelli Cefari, e di quelli Aleffandri, miferabili conquiftatori, che ineiion fofiopra due particelle di qu e ito Globo rifpettoal Trionfo Filofofìco di colui, che primo feorfe, e conobbe quello Univerfo, quanto egli è?
L’Agronomia, diffe la Marchefa, à refo ab-