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Dialogo Sesto. 269

per la Natura ciò che è il fòggetro d’una eompofizione per un valente Maestro di Mufìca. Per femplìce ch’e* fia, lafciate pur fare a lui a concertar ve lo in mille guife, a dargli ad ogni rao mento fembianza di nuovo, e trovarvi entra materia b#ftevole al pia vario,ed arrnoniofo Concerto del Mondo. Non di altro /oggetto, continuai io, è la Natura mellieri per regolare, c variare inlte me quegl’infiniti," e valli Siffemi Planetari, che probabilmente fono- intorno alle flelle inerranci e fitte, a que’ himinofi, ed attraenti Soli, che ci rallegrar* fe notti, e che noi avviliamo co’ nomi de’ notòri miferabili Eroi. Ma perchè quelli Eroi, difs* ella,. de bbon’eglino e fiere inerranti e filli? Che non s’avvicinali’ elfi, fe fi attraggono, e non fi ferrano l’uno addotto all’altro? Voi avete forfè quale lie altra Parabola in pronto, chè non appettava, che la mia difficoltà. Nulla meno, foggsu-ns’io, fe già voi non prendere per una Parabola il dirvi, che quello appunto farebbe avvenuto, quando il numero di quelli Soli non fotte infinito. Quelli ehe fono fu Ila fuperfreie di quella fmifurata Sfera, dirò cos,di Soli, li farebbono ferrati addotto a* loro vicini, come quelli, che non avrebbono avuto, chi gli atrraeffe per un verfb contrario, e ne gli ri te nette, e cosr di mano in mano gli ultimi correndo a’ lor vicini, e quefll ad al tri, fi farebbono tutti ammucchiati inncll’Univerfò, che un vailo, e fmifurato Sole. Ma qual’è il numero di quelli Soli? Quali fono i limiti della loro Sfera? ti centro non ne è egli