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262 | Dialogo Sesto. |
gne, o il Mare rifpinti foflero, venirne il flutto e il riflu fio. Tale per avventura è l’infanzia della Filofofia appretto tutti i popoli anco i piùfpiritofì. La fpiegazione del Defcartes venuto in tempo, che il Mondo era già vecchio, è tanto ingegnofa, quanto balìa per effer bella, non come 8 richiede per efier vera. Quel medefimo Inglefe che ofeurato ì nelle fue contrattive, ed efpanfive forze inviluppandola, la vifione, & tentato altresì d’involvervi entro quello Fenomeno, fpargendo fopra ogni co fa a guifa d’univerfale contagio quefra fu a livida immaginazione, ed infettandone la faccia di tutta la Fifica. L’oppofizìone delle contrattive forze della Terra, e della Luna, per cui l’una innalza le acque, e le deprime l’altra, e la mefcolanza della efpanfiva del Sole, la quale benché fempre fia alla contrattiva contraria, dee tuttavia in quello cafo agir di concerto colla contrattiva forza della Luna, fono fecondo lui la più femplice fpiegazione, e la più evidente caufa delle maree; termini che non effendo ora neppur dalla moda foftenuti, altro fignificar non ponno, che un* ardentiffimo, e vano defìderio in lui di dare il fuo nome a’ novelli errori. Quelli Filofofi mi pajono, difs’ella, i Sacerdoti della Divinità del Ghapelle. Le loro fpiegazioni inoltrano l’audacia, e l’impotenza infieme della loro Filofofia. La noflra, rifpos’io, fi compiace nelle difficoltà, e n’efee trionfante. Le rofe forgono in mezzo agli fpinì.
L’acqua che li trova eflere dirittamente fotto alla Luna, e che le è più vicina» dee efler più