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Dialogo Sesto. 253

rebbon per noi cartelli di carta. La rapidità nel cadere de’corpi gravi, farebbe confiderabjlmentc ritardata. Le bombe, fulmini de’ mortali, non Arebbon niente più tenibili de’ Hocchi di neve. Ma quelle fperienze fono inpramcabih Una delle maggiori dittarla cui noi poffiamo fahre.e il Pico diTenariffe, il quale non a che tre miglia in circa di altezza perpendicolare. Oltre di che l’aria troppo rara per la retrazione, e il Ireddo, che Còpra maggiori altezze fuor di modo acuto iroverebbefi, renderiano qualunque fpenenza ratale al Filolbfo, che la in tra prende ile.

La Natura, ripigliò la Marcherà, ci à negato i mezzi di ellere in quefta parte affatto 1 Newtoniani. Ella vuole, che ci contentiamo della probabilità. Se la forza attrattiva ttegue una certa legge nel Sole, in Giove, ed in Saturno, pere ne la medeiima forza non la feguirà ella anco qui nella noftra Terra? Noi non abbiam, nfpos’io, di che dolerli per quella volta. Più alte montagne, e un’altra colhtuzion d’aria non ci fono altrimenti neceflarie. Tutte quelle cofe,e la mancanza di un’altra Luna, ricompenfate fono, come io già v’ò detto,da’corpi che cadon qui pretto alla fuperficie della Terra. Noi portiamo comparar quelli corpi colia Luna medeuma, ed ecco quanto balla per avere in luogo della probabilità l’evidenza per e Acre anco in quella parte buoni Newtoniani.

Si deduce dall’Iter vazi oli e, che fe la Luna, perdendo il fuo moto, venilTe a cadere verfo la Terra, la forza che la faria cominciare a cadere,