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250 Dialogo Sesto.

non fi porta più leggere un libro, ovvero una lettera, (e per avventura ella non foffe amorofa, che fi leggerebbe a qualunque dillanza. Pofcia fi va ad una diftanza dalia candela, che fia doppia della prima. In quella, la forza del lume fecondo ia legge {labilità, farà quattro volte minore dì quello che nella prima folle. La lettera adunque non fi potrà leggere con quella diibnzione, eoa cui fi leggeva, fe il lume non farà quadruplicato. Quello è ciò, che richiede la legge, che tanto più la luce s’indebolifcaquantopiù crefee il quadrato della diftanza } e quello appunto inoltra l’efperiénza e (Ter vero, poiché allora folo fi legge nella feconda dillanza la lettera colla medeuraa dirtinzione, con cui fi leggeva nella prima, quando alla candela fe ne aggiungano altre tre della medefima groflezza, che vale a dire, quando fi quadruplica il lume.

Io credo, dille la Marchesa, riguardando alla facilità, con cui gli uomini lì feordano di quegli oggetti, che prefetti anno più degli altri nella mente, che anco nell’Amore fi ferbi quefta proporzione de’ quadrati delle difrsnze de’ luoghi, o più torto de’ tempi. Cosi dopo otto giorni di afienza, l’Amore è divenuto feffanta quattro volte minore di quel che folle nel primo giorno, e la proporzion vuole, che l’abbiano quafi del tutto dimenticato, nè credo fi trovatTero, maffime a nuefti giorni, molte fperienze in contrario. l’à, rifpos’io, perchè io credo, che tutti e due 1 le Hi fieno comprefi in quello Teorema, chi fiegue più toilo la proporzione de’ cubi de’ tempi,» quale