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Dialogo Sesto. | 249 |
ne, foggiu ns’io, egli 3 afe rive alla Fortuna degli A fellandri, e de’ Cefari, fe prefigendofl del iuo operare un folo fine, venga fatto di confo 1 guirne anco un’altro, a cui non fi penfava. E il più delle volte avviene, che quegli iteffi, che fi chiaman fortunati, ben diverfo l’ottengano da quel che per avventura vorrebbono. L’Inventore della polvere d’Archibufo afpirava verifimilmente a tu et’altro nelle fu e ricerche, che a rinvenire un fegreto,concui più facilmente diftruggere il genere umano, e colui che trovò un nuovo Mondo non cercava, che una ltrada più facile, e più breve alla doviziofa parte del vecchio. All’incontro nella buona Fifica, e nella Geometria, gli Alcilandri e i Cefari fon più comuni. Egli è raro, che fi trovi quel folamente, che fi cerca.
Una verità, che fi feopra, fuol’efler feconda di molte altre, che fi manifestano quafì al difpetto di chi parea non le curarle. Colui che cerca fegnatamente la legge, con cui agir dee a varie diilanze la forza attrattiva, trova a un tratto l’univerfale, con cui agifeono le qualità tutte, che fi diffondono da’ corpi. La Fiiìca poi fi compiace d’ili uitrar con particolari fperienze quella Verità generale traducerido in certo modo in volgare gli aftrufi geroglifici della lingua dotta; e quanto alla luce, ciò fi dimoftra con una fperienza faCÌliffima, che noi potremmo anco far quella fera, le già non farete fazia di Filofofia, e di fpe rimenti.
Si và a quell’ultima diflanza di una candela, che dee efier fola nella flanza, di là dalla quale