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234 Dialogo Quinto

quali ne fcopriffe tutto dl’di novelle. I Fiìofo’fi -guadagnano in certo modo nuovi fenfi ( o più rodo i loro fi vanno tutto dì affinando, e fono perciò in iitato di fentire ciò, che per avventuri altra volta non fcntivano, Bifogna adunque nello ftabilire il numero delle proprietà, che nella materia trovanfi, lentamente procedere; nè vale il dire, che le une s’intendano meglio delle altre, poiché fé vi vuol confettare il vero, elleno fon tutte egualmente mifreriofc per noi. Farete adunque voi più difficoltà, Madama, di ammetter l’attrazion nella materia, che è provata da tante parti, e principalmente da’fenoracni celeiU, che ne fono i più fplendìdi annunziatori, di ammettere in fine una cofa, che voi medefima dimoftrate così evidentemente? Io certo non ne cercherò la dimoftrazione altrove.

Non già così io, rifpos’ella, che ó bi fogno di tutto il Cielo per convincermi di una cofa, che mi par ancora così ftrana, é maravigliofa. Farà dunque mefHeri, continuai io, convincervene appieno. Gran torto in vero, e al iìftema del Signor Newton, c a voi médefiroa farebbe, il volervi far creder cofe, delle quali non ne avefte buone ragioni. Egli è un peccato di non potervelo cfporre quello firtema con tutta la forza delle dimofirazioni e de* calcoli, che l’accompagnano; fcnza li quali non può che perder moltiffimo. lo avrò pazienza, replicò èli*, di non poterlo vedere ìn tutto quel tu Uro, m cut lo vederebbe un Matematico, e farò come que* euriofi, che non potendo avere un quadro* fi contentano di averne