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Dialogo Quinto. 231

donde pofcia dedurre geometricamente 1 fenomeni, egli effetti, ficcome finora nella itona Se fimo 8 andati teffendo della Luce fi e adoperato.

Questa nuova proprietà, foggiunfe la Marchesa è di un genere, a cui il mio fpiflja cosi facilla, c ai un > Duello è un d qu e’ fatti Itomente non poggia, i^ucuo c un h rici, per la cui "piena intelligenza tana meft eri -entrare in Gabinetto. Io intendo, o mi par d incendere, come i raggi delia luce per cfempio fieno differentemente rifrangigli. Quelta 11 e una cofa dell’ordine di mille altre, che smtendon beniffimo. Ma che i corpi debbano attrarre ■ la luce, ed attraerla a qualche diltan/a, e generalmente, che ogni cofa debba attraerfi, egli mi par ben differente. Un retto di Cartcfianifmo, rifpos’io, da cui non vi fletè ancora affatto liberata, vi fa illufione fopra dì dò. Voi vi fletè fur-fe lufmgata fino a quell’ora, che la riffraztone ■«afra da alcuna -di quelle caufe, che {borrendo voi il Cartellano Alterna vi fi fon rcndute domeniche, e familiari. Ciò vi fa credere d’intender meglio la rifrangìbilità, che la diffrazione. Pare, che il Signor Newton medefimo in alcuni luoghi abbi? voluto preltarfi a’ pregiudizi di quella Setta. Eglìà detto per parlare il linguaggio, che correva allora nella Filolofii, che l* attrattoti forfè porrebbe; eller l’effetto dell’imputflone di una materia fottile, che ufeiflè da’ corpi; ma la verità fi è, che avendo egli provaco i Cieli eller voti, e i corpi celeiti in quegl’ìmmenfi fpazj attraerfi l’un l’altro, quel luogo retta all’impulsio-