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230 | Dialogo Quinto. |
d’occhio. Dicono, che quello fi è un richiamarle da quelle Cattedre d’Europa, dove l’ignoranza fa trovar loro ancora un* alilo, per introdurlo nella buona Filofofia, donde la ragione: per la ielicità del genere umano le avea sbandite i- Ben lungi, che quella attrazione fia una quanta occulta, ella èTuria qualità manifeftiffima nella materia, da cui manirelhraenre dipende la fpiegazion della diffrazione, della rifrazion mede lima, e di molte altre cofe; non già un nome lenza fossetto per ifpiegarc due o tre apparenze inventato, ma un principio generale per tuttala Natura diffufo, e che dal più picciolo granel di fabbia fino al più vafto de’ Pianeti fi iUnde l Peripatetici eran fimili a quegli Antichi, che per ogni arbofcello, per ogni picciol fiume, per la teb?e ifleffa, e pel dolor di ventre una nuova Deità creavano; quelli ad un Filofofo, che 1 emittenza ftabilifca d’un Eller maflìmo, infinito, ioio, e n tutto dirigente.
Nè già il Signor Newton allor quando dice, che li luce patendo vicin dell’efiremita de corpi, è attrattala elfi, lP^.ifJgJZ!* modo una fpiegazìone compita della diffrazione ma d’indicar folamente quella proprietà deUa materia, da cui dipende la fpiegazion della diffrazione, ma dì cui retta ancora a cercar la caufa Quello egli lo lafcia a que* Filofofi che anno foverchio tempo da perdere per impiegarlo alla ricerca di ciò, per cui pare non efìer noi ne poco nè molto organizzati. In fomma non fi vuoile ftabilir fatti, e proprietà geuerah della materia;