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Dialogo Quinto. 229

che i corpi efef citano fopra la luce. L’trazione! replicò la Marchefa maravigliandoli. Voi vi prendete fpaflò di me, e della mia credulità, o più collo volete punirmi della mia foverchia curiofità. I corpi attireranno la luce, come la calamita attira il ferro? Ma qual male m grazia, foggiuns’io, ne feguirebbe egli, fe così purefoffe? Anzi quanti beni non ne fon venuti ali Unica da quella attrazione tra i corpi, e la luce, e generalmente alla Filìca tutta dall’attrazione univerfale della materia, di cui l’attrazione tra la luce, e i corpi è una conseguenza > Ella è come la chiave di tutta la Filofofìa, e il gran motore della Natura quella milleriofa univerfal forza trovata, e calcolata dal Signor Newton, propolll all’efame de’ Filofofi dal gran Bacone di Veruiamio, e cantata in barlume dall’Inglefe Omero.

La Marchefa recatafi in fe, e guardandomi pure in volto fe io diceva da dovero. Voi mi dite finamente, replicò in atto di maravigliarti, che tutti i corpi lì attraggono! Ecco un nuovo Mondo per me, in cui io mi trovo ftraniera affatto e peregrina. Non vi fgomentate, rifpos’io, per quello; poiché egli vi accade ciò che è pure accaduto a’ Filofofi di profeflione. Eglino anno fchiamazzato, che l’ammettere quella attrazione fi è un far germogliar nella Filoforu certe qualità occulte, che gli Antichi riponevano ne’ corpi, come le qualità iìmpatiche, antipatiche, o che fo io, e il cui numero fi moltiplicava fi può direco’ fenomeni fteflì, mercè le quali vi fpiegavano, o v’imbrogliavano più tofto ogni co fa iu un batter