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228 Dialogo Quinto.

infletterli, e gettarli nell’ombra della Luna mede Urna: Gli Offervatori, che in quefl’ombra fono nel tempo dell’Ecclifli immerfi, devono adunque ricever quelli raggi dagli orli della Luna piegati, e vedere intorno ad ella un’anello luminoio, una fpecie di crepufcolo limile a quello che noi vediamo ogni di la fera, e rare volte la mattina all’Orinante, Te non che l’uno dalla rifrazion, che la luce dagli fpazj celelli nella noilr’aria, l’altro dalla diffrazion, che vicino alla Luna pacando foffre, è cagionato; ma tutti e due da’ raggi che non ci pareano dalla Natura deilinati, Per una maggior conferma, che quella folle la vera caufa di quell’anello, fon fi fatti con varj globi delle Lune artificiali, e fi fon fatti vedere qui in Terra in faccia al Sole, ed alla Luna piena, gli effetti di quella diffrazione, che flette per effer fatale all’Aiìionomia nel Cielo.

Gli Astronomi, ripigliò la Marchefa, anno ben ragione di effer contentidelSignor Ne vvton, e della fu a diffrazione, che gli à tratti fuori d<t tal periglio. Ma io per confeffarvi il vero non lo fono del tutto. Sarebbe egli lecito di domandare donde viene, che i raggi, che panano acquaiche diuanza da’ corpi, debbano effer infierii, ed incurvati? L’idea, che mi dà quella nuova proprietà della luce, è così lì rana, che io non la fa concepire. Oh oh, rifpos’io, voi liete un po’ più difficile a contentar degli Agronomi. Voi volete fa per’anco la caufa della diffrazione. Io ve la dirò; ma non vi ritraete poi, e non torcere il vifo, quando ve l’avrò detta. Ella è l’Attrazione,