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220 Dialogo Quinto.

Dio del Mallebranche, che noti à he men le Fdte, e le Domeniche per fe: Ma quelle dìfpoà iizioni che anno i colori a fe parai li, e che voi: ammirate tanto, per quanti peni! e ri rifparmino, e fieno in certa maniera comode alla Natura, non lafciano di tffèr talvolta incomode per noi.

Come incomode? rifpofc la March e fa; non fono else forfè, a cui dobbiamo tanta varietà, e non; fi i ebbe egli nojofo di veder fempre in tutti gli oggetti la ripetizione del medesimo colore?; "Voi apprendere, rifp’os’io, come un gran maledi veder fempre il Mondo per così dire a chiarofc uro, di dovervi fempre ve ili re del ni ed efimo colore, e quel, ch’è peggio, di un colore fimile à quello delle v.oftre carni. Voi potete aggiungere ancora, foggi uns’ella; E di perder fopra tutto colla varietà de’ colori un argomento di dimorfo cosi favorito delle Dame. Tutte quelle difgrazie, replicai io, colla volita terribile aggiunta fuccederebbono, fe i raggi colorati non ave fiero difpofìzione a fepararfi gli uni dagli altri, ovvero fe [urti follerò d’un raedefimo colore. Il Camaleonte, e le rughe vi verrebbono a perdere confiderabilmente anch’effe. Ve n’à alcune, che lenza aver la noja dì cangiar di pelle, nello fpazio di ventiquattro, o di dodici ore fi trovano aver cangiato di colore. Ma in. contraccambio 9 fe ciò foìlè, gli Allionomi ci verrebbono a guadagnar non poco. E qual cofa non fac ri Mollerebbe un Agronomo per determinare efattamente il rempo dell’Eccitili d’un Satellite di Giove, o per veder didimamente l’occultazione d’una Stella