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Dialogo Quinto. 209

di una luce non fua, ovvero fe il lume e fieni o ponga in tale agitazioni le fu e parti, che una luce ch’egli contenga dentro a fe venga, per cobi dire, a fprigionariì, c fuori dal fuo feno fi fcagli, ond* egli rifplenda d’una luce fua propria; if che molto più onorevole gli farebbe, e con più ragione meritar farebb’egli il bel nome, ch’e’ porrà. Il Moderno adunque fcelfe una forra di lume, a cui efporIo,ehe doveva ficuramente farfi riconofeere, fe egli fe ne imbeveva, e manifeilare in tal maniera il furto di quello novello Prometeo. Io veggo già, ditte la Marc he fa interrompendomi, ciò che il Moderno à fatto. Egli a pollo il Fosforo in un de’ colori dell’immagine per vedere «’egli col lume ne acquiftafle anco il colore. S’egli l’acquilta, manifeita cofa è, ch’egli dei lume efierno s’imbeve, e rifplendc d’una luce non fua; fe poi non lo acquiila, eifendo che i colori fono immutabili, e non foffrono alterazione alcuna; il lume altro non fa che agitar le fue parti, e fprigionarne, come voi dicevate, la luce, ond* egli rifplenderà d’una luce fua propria, e non altrui, c più torto, che a Prometeo ratto migliarlo converrebbe al Sole fteflb.

Egli non è che troppo vero, replicai io, et fer le Belle tutto ciò, che voglion’e fiere. Gran torto in vero farebbe il voftro, fe da qui innanzi tenrazion vi prenderle mai di dolervi della vollra poca fagacirà nella Fifica. Quefto è ciò appunto, che fece il Moderno Bolognefe, e colla vollra fpenenza afficurò l’onore di rifplender d’una luce tua, propria al fuo Compatriota. Egli è