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Dialogo Quinto. 203

carta, diro cosi, di no velie, che differenti le une dall’altre concorron però tutte a provar L’iftefloj Si direbbe ch’elle gli nafeevano fotto alle mani, come i Poeti dicon de’ fiori fotto a’ patti delle Belle. L’immagine colorata fatta dai prifma e con un altro guardata in modo, che la feorci, e ne confonda infierite i colori, divieti bianca. L’ìfteiTo ó io oflervato nell’Iride, che è l’effetto della feparazione, che fi fa de’ raggi del Sole nelle gocciole di pioggia, che gli è oppolla. Ella pure par bianca guardata con un prifma rivolro in guiia, che la rifranga e ne confonda infieme i colori. Quelli che vivono ricino alle cataraffe de’ fiumi, l’Iride ogni giorno veggono, fe ìì Cielo è fereno, formata dal Sole nello fpruzzo, che s’alza dall’acqua rotta ne’ foggetti fam, ed an l’agio di poter prendere più fpefTo dì noi quella fperienza. Io non voglio, replicò ella, aver nulla, s’è pombile,da invidiare altrui. Una fontana, che fe non una cataratta, imiterà almeno la pioggia,’ ci farà godere un’altra villeggiatura dell’Iride, c delle me oflervazionì a piacer noftro. Noi li chiamiamo, fe vi pare, la Fontana dell’Ottica..

Sino a ranto, rifpos* io, che abbiate nel vofiro Giardino le prove del Newtoniano iìftema, come nella voftra Galleria avete già le obbiezio ni contro il Cartefiano, rientrar potete nella ftanza ofeura per vedere, che il candor della carta pofta dirimpetto all’immagine colorata del Sole, coficchè partecipi egualmente di tutti i colori, non fi altera in modo veruno; laddove si ella più ad un colore fi accolli, che agli altri, il fuo bian-