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192 Dialogo Quarto.

do ogni corpo riflette, o trafmette in grande abbondanza que* raggi, che fono del fuo colore, e gli altri li rifletejo trafmette più o meno, amifura che fono più o meno al fuo colore nell’ordine della rifrangibilità vicini.

Quindi, difs’ella, in qualunque colore, che più perfetto fembii non può fare a meno, che dell’impurità non v’abbia, nè l’Arte potrà giunger per avventura mai a tingere una ftoffa in modo, che una fola forta di raggi rifletta. Molto più difficilmente forfè, rifpos’io, giugnerebbllIa ad accordare infieme varj colorì, fe puri follerò ed omogenei, ed a lufmgarci la vifta co’ grati accordi dell’armonia. Tutta la dilicatezza della Natura nel ritrovare infinite mezze tinte tra un colore, e l’altro, farebbe a tal uopo neceflana; laddove l’effere in ogni colore più o meno percolato qualunque altro, le è di grande facilità, e le abbrevia notabilmente il cammino. Ciò fa, che il paffaggio da una tinta all’altra, benché per avventura molte ne manchino fra mezzo, non fia crudo per l’occhio che trova nell’una, e nell’altra la medefima bafe, dirò così, di tutti i colon, che glielo ammollifce, e che ferve di foflegno, e di ballo all’armonia de’ colori. Altri inconvenienti, oltre a quelli, nafeerebbono fe ogni forra di raggi più o meno da’ colorati mezzi trafraeua non fotte, poiché non lieve incomodo aggiungerebbelì a quella per fe ftelTa abbaftanza nncrefcevol malattia, che la perfona tutta, e l’occhio ftefso d’ingrato giallo infetta e tinge, e in cui m©pponune riefeono più che in qualunque altra le