Pagina:Algarotti - Il Newtonianismo per le dame, 1737.djvu/203


Dialogo Quarto. 191

pi polli nel medefimo lume, fono egualmente tu* mirtofì, ma ogni corpo è più luminofo in quel lume, che è del Tuo proprio colore, toltane la carta, e tutti gli altri corpi bianchi, che ricevono indifferentemente qualunque colore, e che fi ponno riguardare, come il vero Camaleonte e il Proteo dell’Ortica.

Quello diamante adunque, interrupp* ella, ne 1 raggi dell’immagine polio, ne trarrebbe indifferentemente qualunque colore, ed ora in rubino con picciol’opra trasformar potrebb efi, ora in topazzo, in fmeraldo, ed in zaffiro. Tanto più, rifpos’io, ch’egli non riarderebbe ne meo per rifrazione, che un folo e puro colore, e fvanirebbon l’Iridi, ond’egli variamente fcintilla al diretto lume del Sole. Egli è vago altresì a vedere la minuta polvere, o gli atomi, che fon per l’aria, ora uno, ed or altro color veli ire allo fcorrer che fanno d’un raggio in un altro, fomiglianti ad uri fiume, che per la varia qualità del fondo cangiaffe di mano in mano di colore. Non così come io vi diceva gli altri corpi. La lacca per efempio, con cui Martino in Parigi, emulator dell’arte Cìnefe, fa di così gentili lavori, è luminoliffima al lume rollò, non tanto al verde, e meno ancora all’azzurro. All’incontro il Lapislazz*lo degno di lervire di preziofò ripolliglio al vofr.ro Tabacco, che al lume azzurro è luminoiìrtimo, non lo è tanto al verde, ancor meno al giallo, ed è quali che ofcuro al roffo. Il medefimo vale ne* corpi, che fi veggon per una luce trafmclla, come lì fpenmeuta co’ vetri di diverfi colori. In tal modo