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Dialogo Quarto.

Non fi è obbiettato forfè» ripigliò forri derido la Marchesa, che il libro, fu cui cadevano i raggi rotti, e poi gli azzurri, era per avventura Inglefe» c che per conchiudere la diverfa rifrangibilità bifognava, che folle Italiano? Ma in verità, non è egli vergognofo di efler cosi retilo contro il vero? Non fon’elleno forfè deci fi ve quelle fperienze? E da qua!’ altra cola à egli mai da nafeere in qualunque paefe del Mondo l’è (Ter l’immagine di un colore più vicina alla lente, che quella d’un’altro, fe quella non è la diverfa rifrazione, ch’elfi fofirono nel pattar per la lente? Non andate in colera, rìfpos’10, o Madama, che la diverfa rifrangi biliù non lafcicrà per quello d’elTer vera. Voi potete feguitare a crederla con tutto il vofìro comodo, come già fecero molte onefte perfone, qualunque opinata guerra l’Avverfario del no tiro Filofofo dichiarato le avelie. Ella ebbe la forte di quel campo, ove Annibale, quando attediò Roma, accampato fi era, il cui prezzo nulla feemò per quello nella vendita che allora fe ne fece. Voi dovete riguardar più tolto quelle difficoltà come i verfi fatirici, miferabile sfogo della licenza e della malignità del foldato, che fi mefcolavano altre volte in Roma alle acclamazioni ed alla gloria de* Trionfatori della Terra. La bellezza e la Angolarità di quello fili e ma, meritava bene di non andare immune dall’Invidia, e dalia Critica: talTa che dee pagare al maligna pubblico il merito altrui, Un famofo Miniilro capace de’ più alti proggetti, e de’ più baffi manc ggi>e un’Accademia intera fi. collegarono con-