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Dialogo Terzo^.. ’4 1

Mufe Io maltrattavano da un tempo in qua, e ch’egli era rifoluto di voler loro rinunziare per femore Avendogli noi civilmente contradetto, celi rifpofe, efler pronto a provarcelo con non pochi Sonetti, ch’egli avea ultimamente fatto, da’ quali noi avremmo potuto argomentare, quanto poco del loro favore allora gli preflailero. La Marchefa prendendolo fulla parola, quando cosi veramente ila, foggiunfe, bHbgna abbandonarle affatto quelle ritrofe, e non penfarvi ma! più. Noi parlavamo ora di Filofofia, e diOttica, quella farà, cred" io, una licura te^di vendicaTfene l’entrare cioè ne’ noitri difeorfi cosi lontani dalla Poefu. Egli fi feusò dicendo, non aver talento aliai per entrare in A alte maictie^ colfi Mufe bifognava bensì far talvolta lo sdegnato; ma bifognava altresì guardarli dal farlo troppo, e di difgulhrle. Senza che un poco di Mufe ci avrebbe follevato dalla feventa de difeorfi filofofici, apportandoci l’autorità e l’eiempio di 1 latone, che con quella (Iella mano, con cut fenile il Timeo, e le Ulituzioni della Repubblica, non ifdeanò di feri ver ver fi amorofi ad Agatide, di Tuonare, e di fcolpir le tre Grazie nella Rocca di Atene, alternando in tal modo la Filofoha colle arti di Apollo. Neffuna cofa gli valfepero per recitarci i fuoi Sonetti, ch’erano l’utimo fine della fua vifua, e delle fue crudizioni.

La Marchesa mi fece varie domande, che il nostro Poeta non trovava niente a proposito,e tra le altre, s’ella potea acquietarsi sulla spiegazion