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126, Dialogo Terzo
propofiro, c che fi ricono fca poi con confufione ; per cui è lift* niello in opera canto fpirito.
Questo fenomeno, diffe la Marchefa forridendo, à delle confluenze molto importanti, e merita tutta l'attenzione. Ma egli mi pare per dir vero un poco più imbarazzato del primo , c non fo quanti gradi di fottigliezza nell' aria richiederebbe Lucrezio per ifpitgarlo. La fpiegazione però, ioggiuns' io, dipende intieramente da un fatto , di cui voi farete Hata mille e mille volte diligente offervarrice . Non avete voi fatto attenzione, che non v'à occhi, fodero anco i voffri , che non fien più beili la notte che il giorno ? Sì bene , diffe la Marchefa , purché i complimenti non guadino le noiìre offeivazioni: ma non avviene egli quefto da ciò, che generalmente la notte m olirà meno i difetti, che fon nel vifo , onde gli occhi Retti debbon venire a guadagnarci ? Egli awien, rifpos' io, da ciò, che la notte la pupilla è più aperta e dilatata , onde gli occhi vengono a parer più neri, e più brillanti, che non apparirono il giorno, in cui ella è più rifletta. Quanti occhi àn trionfato la fera, e fatto conquide, che àn poi perduto il dì feguente aljevar del Sole! La pupilla ne' luoghi illuminatiflìmi è nllretta molto, e ciò per non ammetter nell'occhio loverchia copia di ra^gi, che non potrebbe che offenderla: all' incontro ne' luoghi ofeuri ella è dilatata atfai per ammetterne tanta , quanta ad eccitar la vifione richiedefi ; Alcuni animali, che non efeono da' loro buchi che la fera, non devoti forfè poter riftringer tanto la pu-